Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l'orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia.
Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo "chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l'accesso" ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento.
E lì, ad aspettarlo, c'è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri.
Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, "la cosa più simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui". Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: "Eccola lì, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino". Un'eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.
Ciao, questa volta vi parlo del libro di Cognetti "Le Otto montagne", edito da Einaudi, vincitore del Premio Strega e Premio Strega Giovani 2017 e da cui è stato tratto il film dall'omonimo titolo.
La montagna è un posto affascinante per me: da bambina trascorrevo le estati sugli Appennini a correre e giocare in piena libertà e leggere questa storia mi ha riportata indietro alla mia infanzia, alle camminate nei boschi, alla fatica dopo aver affrontato una lunga salita e a quel senso di vittoria per essere arrivati fino in cima.
In montagna mi sento a casa.
è ciò che penso anch'io, per questo ogni anno mi organizzo per andarci e cerco di arrivare sempre più in alto perché lassù entro in contatto con la mia parte interiore, dove la natura è così calma e silenziosa che il tempo sembra fermarsi.
Un altro aspetto che trovo gratificante è il legame che si instaura tra i cosiddetti "montanari": un sentimento profondo che durante le camminate fa sì che le persone si sostengano e si aiutino a vicenda affinché nessuno venga lasciato solo.
Cognetti lo descrive bene attraverso l'amicizia tra due ragazzini, Pietro e Bruno, che trascorrono le loro estati nelle Alpi piemontesi, in un paesino di nome Grana ai piedi del Monte Rosa; insieme esplorano quel mondo selvaggio che li mette alla prova facendoli crescere e diventare uomini e, nonostante le loro strade inevitabilmente si separano, l'amore per quei paesaggi imponenti li accomunerà per sempre.
Il libro mi è piaciuto molto non solo per l'argomento che tratta, ma anche per com'è scritto: le descrizioni sono dettagliate al punto che leggendo avevo la sensazione di essere insieme a Pietro e Bruno, provavo la loro fatica, sentivo quella brezza che accarezza il viso dopo tante ore di cammino e che fa sentire in pace con il mondo!
Perciò, come afferma l'autore:
Credo che questa si possa intendere quasi come una metafora di vita: andare avanti sempre, un passo dopo l'altro affrontando con coraggio e disciplina le sfide a cui la vita ci sottopone, rimanendo concentrati sulla meta che vogliamo raggiungere dosando le forze nel modo giusto.
Come ultima nota vorrei aggiungere che la spiegazione del titolo del libro viene da un'antica leggenda nepalese raccontata a Pietro dagli abitanti di un villaggio sull'Himalaya nel quale si ritrova a vivere dopo un lungo viaggio di ricerca interiore: dicono che al centro del mondo ci sia una montagna altissima, il monte Sumeru, circondato da otto mari e da otto montagne.
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